lunedì, luglio 19

Viaggio negli inferi

Rapito, recluso, violato. Ecco come mi sento.
Tutto è iniziato alle ore 12:50, alla stazione di Salcidia.
Io e il mio amico Zuavo siamo in partenza per Romildia, la capitale dell'impero. Il caldo sulla banchina accende le sigarette e scioglie le suole. La nostra attenzione viene attirata da una donna, alta, statuaria, molto intrigante. Ovviamente si accompagna ad un uomo molto più vecchio di lei. Matematico. La mancanza di biglietti ci ha costretti a viaggiare in prima classe. Per farlo abbiamo dovuto vendere al mercato nero tre capre, cinque galline e un chilo di pesche. Ma per arrivare nella capitale, noi gente di provincia facciamo di tutto.
Il treno parte. Si aprono i giornali. L'aria condizionata inizia da subito a dare problemi. Il sedile si tatua sui nostri giovani culi. Ma non abbiamo l'ardire di lamentarci.
Ecco lei, la donna intrigante, ci passa vicino diretta verso la latrina. La guardiamo arrossendo. Lei barcolla come un vecchio ubriacone sbattendo su persone, sedili, stipiti. O è il tacco da dodici o ha dei problemi al lobo temporale. Il suo fascino sparisce mentre lei sparisce nel cesso. Non la vedremo più.
Il treno si ferma. Proprio di fronte a noi si piazza un ragazzo. È odio da subito. Si odia la sua maglietta rosa con una stampa del cazzo, i suoi muscoli pompati, il suo sguardo da vitello morto. Io e il mio amico Zuavo ci scambiamo occhiate d'intesa. Il ragazzo deve morire. Ci fingiamo gentili e gli offriamo del latte di capra, precendetemente avvelenato. Lui lo beve e muore. Ma sembra dormire. Siamo lieti della nostra buona azione quotidiana.
Il treno va. Traballa, sferraglia, scarrella.
Ci addormentiamo per smettere di soffrire.
Ci sveglia il ronzio dell'altoparlante: "Ci scusiamo per disagio, a causa di problemi tecnici abbiamo 10 minuti di ritardo." Ci guardiamo intorno: siamo in mezzo alla boscaglia. Vediamo degli occhi nell'oscurità che ci guardano: una tribù di indigeni. Improvvisamente rompono gli indugi e ci attaccano. È una pioggia di frecce avvelenate, cerbottanate, lance infuocate. Ma la dura corazza resiste e ripartiamo. Noi sorridiamo felici. E facciamo anche sorridere il ragazzo morto, applicando dei pratici orpelli alle sue labbra cadenti.
Ma abbiamo poco da ridere. Alla stazione successiva succede l'imponderabile. Sembrava una normale sosta ma non è stato così. Sentiamo una voce malefica dall'altoparlante: "odratir id itunim 08 noc omeritrap ocincet otsaug nu id asuac a!!!!!". Un forte odore di zolfo si diffonde nel vagone, donne anziane si denudano e si abbandonano alla lussuria, il morto risorge e bestemmia in dialetto barese "mett a cassan, mett a cassano, ve 'ffe mmocc a mamt", i bambini vomitano sperma, un nano si nutre delle feci di una poliziotta e così via.
Io e Zuavo ci nascondiamo nel bagno in attesa che le porte dell'inferno si richiudano. L'attesa è lunga. Acute grida sconquassano l'aria incandescente. Qualche essere malefico prende a pugni la porta del nostro rifugio. Io e il mio amico ci guardiamo maledicendo il giorno in cui abbiamo deciso di partire.
Ex abrupto il treno riparte. L'odore di zolfo viene rimpiazzato dal consolante odore di urina. Usciamo fuori. I vecchi sonnecchiano, il cadavere imputridisce, i bambini piangono, il nano legge. Tutto sembra tornato alla normalità. Ma sentiamo ancora la paura che ci ghermisce le interiora.
Finalmente il treno rallenta. Siamo arrivati a Romildia con soli 160 minuti di ritardo.
Andiamo a casa di Zuavo in borgo d'Ognissanti, e ci nutriamo di carne di agnello vergine, annaffiata con estratti esorcizzanti della magica e misteriosa pianta di Chinotto.



1 commento:

Pepe ha detto...

Eccellente!