venerdì, marzo 18

La colonnina mesta



Voglio affrontare un discorso per niente originale: la ridicola inutilità delle notizie che girano sul web.
Non parlo delle bufale vere e proprie, tipo scie chimiche o i vermi nel té Lipton. Quelle le definirei storielle divertenti a cui però è impossibile credere.
Parlo di quelle che vengono spacciate per notizie ma in realtà sono accanimento terapeutico sulla banalità e anche sulla realtà.  Ci sono storie che è davvero ridicolo chiamare "notizie" ma che è ancora più ridicolo voler raccontare e più ridicolo ancora volere umiliare lo spettatore (inteso in senso lato) cercando di propinargliele. 
Di solito questo tipo di aborti mancati si trovano sulla colonnina destra di Repubblica.it.
Oggi ad esempio c'era un interessantissima notizia con foto allegate: Seattle, il fucile con cui si è ucciso Kurt Cobain.
Ora, cerchiamo di affrontare con lucidità la faccenda partendo da una verità, un truth, una verdad, una vérité incontestabile: che cazzo c'è di interessante in questa storia? Cosa aggiunge al fatto che Kurt Cobain si è ucciso? Cosa cambia nella mia vita? Assolutamente niente. E su questo credo non ci siano dubbi. La storia non è "trovare le impronte digitali di Alberto Ferrari e Gigi D'Alessio sul fucile che ha ucciso Kurt Cobain" o "Il fucile di Kurt Cobain ha confessato: ho ucciso per gelosia, dormiva con una pistola sotto al cuscino".
Purtroppo quello che c'è interessante in questa storia è che stuzzica la parte più becera del lettore. Si parla di morte, di dolore, del fallimento di un ragazzo di successo, di armi da fuoco, di polizia, di robba americana. Tutti argomenti che fanno eccitare il dito come davanti alla prima donna nuda che si vede senza mutante. 
E non lo fa in maniera analitica, per spiegare o approfondire o anche solo per tentare di capire. Storie del genere servono solo a generare rumore e click. E ad essere sincero, finché sono inezie come questa del fucile, poco male. Quando questo approccio ti fa sentire davvero male come essere umano è quando questo succede su storie pesanti e difficili da decifrare.
Mi riferisco all'omicidio di quel povero ragazzo, Luca Varani. In pochi giorni è diventato solo "Varani", una parola che ha perso la sua anima: il riferimento a qualcosa di reale. Non è più un ragazzo di 23 anni che è stato ucciso. È diventato un gay che preso soldi per andare a casa di due che forse sono gay forse no e che drogandosi con 1800 euro di cocaina è stato ammazzato da oltre 30 pugnalate che forse sono di più forse sono di meno forse gli è stata anche recisa la gola prima però Foffo che è un bravo ragazzo con un quoziente intellettivo alto così ha detto il padre che è andato a Porta a Porta con la cravatta e Prato l'animatore di feste gay hanno chiamato altre X persone poi però ci hanno dormito vicino mentre era morto. 
Potrei andare avanti per ore così. E se avessi tempo e voglia questo riassunto avrei potuto scriverlo con i titoli delle tante notizie che ogni giorno vengono vomitate su questo argomento.
E cosa rimarrà alla fine di tutto questo nei nostri ricordi? Varani, Foffo, padre, gay, cocaina, strage. Parole, solo parole isolate, senza una storia, senza un'anima, senza riuscire a suscitare in noi una sola emozione. Come quando per giocare si ripete all'infinito una parola fino a quando non perde il significato originario e rimane solo un insieme di suoni che non hanno niente a che fare con quello che rappresentano. In questo caso la parola era "pietà".


E l'articolo sul fucile di Kurt Cobain l'ho letto anche io.



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